EXPO Torino 1884 – Don Bosco presente!

E’ iniziato l’Expo Universale a Milano e i Salesiani sono presenti con la “Casa Don Bosco” e sono l’unico gruppo che fa riferimento a una famiglia relgiosa e non ad uno Stato.
MA… sapevate che Don Bosco e i suoi ragazzi parteciparono all’Expo Nazionale a Torino nel 1884?!

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da un articolo del giornale “AVVENIRE”

expo don boscoRaccontano i cronisti dell’epoca che di fronte a quel cartello più di un visitatore sorrideva o storceva il naso. Ma era questione di un attimo. L’idea di trovarsi in uno dei tanti magazzini di “oggetti devozionali”, di “cose da sacrestia”, svaniva subito. Perché la galleria, come allora si preferiva chiamare i padiglioni, era esattamente quel che prometteva la scritta sulla porta d’ingresso: Don Bosco: fabbrica di carta, tipografia, legatoria e Libreria Salesiana.
Per partecipare all’Esposizione generale italiana del 1884 il santo dei giovani, come sempre, aveva voluto fare le cose per bene. Il visitatore che si fosse recato al Valentino di Torino, sede dell’Expo “nazionale”, avrebbe potuto vedere in diretta come nasceva un libro. Si partiva dagli stracci, lavorati e ridotti in pasta, per poi passare alla fabbricazione della carta, alla stampa vera e propria e, infine, alla realizzazione del volume, con tanto di illustrazioni ed eventuali fregi. Il “prodotto” finito sarebbe stato poi portato a Valdocco oppure esposto, accanto ad altre centinaia di volumi, al Bollettino Salesiano in tre lingue, al mensile Letture cattoliche, tutti ordinati con precisione nello stand sin dal giorno dell’inaugurazione, il 26 aprile 1884.

La lavorazione del libro avveniva in una galleria apposita di 55 metri per 20. Dentro, impianti all’avanguardia tra cui una macchina per fare la carta di produzione svizzera, destinata alla cartiera salesiana di Mathi Torinese. Nel padiglione di don Bosco lavoravano una ventina di persone, tra operai e giovani di Valdocco, a ritmo continuo, fatta eccezione per la domenica, destinata al riposo festivo. Scelta, quest’ultima, che non mancò di suscitare critiche nel mondo laico, cui diede voce la stampa liberal e anticlericale dell’epoca. Al tempo stesso una decisione logica, coerente con il sistema educativo di don Bosco e con la sua attenzione verso la “buona stampa”, capace cioè di leggere il mondo, l’attualità, alla luce della fede, sempre nel pieno rispetto dei tempi della Chiesa. Scriverà infatti il santo nella circolare, inviata a tutte le case salesiane, del 19 marzo 1885: «Il libro, se da un lato non ha quella forza intrinseca della quale è fornita la parola viva, da un altro lato presenta vantaggi in certe circostanze anche maggiori.

Il buon libro entra persino nelle case ove non può entrare il sacerdote, è tollerato eziandio dai cattivi come memoria o come regalo. Presentandosi non arrossisce, trascurato non s’inquieta, letto insegna verità con calma, disprezzato non si lagna e lascia il rimorso che talora accende il desiderio di conoscere la verità; mentre esso è sempre pronto ad insegnarla.». Per questo sin dalla bozza provvisoria delle Costituzioni si sottolinea come i salesiani «si adopereranno a diffondere buoni libri nel popolo con tutti i mezzi suggeriti da una ardente carità».

Ecco allora che la presenza all’Esposizione nazionale di Torino era la conferma di un preciso impegno pastorale e al tempo stesso la cartina al tornasole di un progetto imprenditoriale destinato a diventare una sorta di modello. «L’essere stati educati da don Bosco – scriverà don Giovanni Battista Lemoyne, storico biografo del santo – era la migliore raccomandazione per essere accettati nelle fabbriche e negli altri uffizi. I padroni venivano essi stessi a chiedere a don Bosco i giovani operai».

La promozione umana e spirituale dei ragazzi, specie degli ultimi, si accompagnava infatti all’impiego di strumentazioni all’avanguardia, di macchinari modernissimi. Non a caso il padiglione del primo prete espositore a una rassegna come quella torinese era sempre pieno di pubblico tra il curioso e l’ammirato, più spesso entrambe le cose. Ciò nonostante quando fu l’ora di premiare le proposte più originali e innovative in rassegna, don Bosco venne trascurato e messo in disparte. La Giuria infatti assegnò alla sua galleria una semplice medaglia d’argento, mentre altri espositori dalle offerte più comuni si videro attribuire l’oro. Nessuna menzione, inoltre, per la cartiera, esclusa dai riconoscimenti in quanto non di fabbricazione italiana.

Si trattava di un’ingiustizia bella e buona, di fronte alla quale don Bosco non volle restare in silenzio. Deciso a difendere i suoi diritti, scrisse una lunga lettera al Comitato esecutivo dell’Ufficio Giuria di revisione. Nella missiva il santo dei giovani sottolineava il successo delle sue iniziative editoriali, con i due milioni di copie delle Letture cattoliche, la 100ª ristampa del Giovane Provveduto, che significava 6 milioni di esemplari, le 300 mila copie in pubblicazioni mensili nell’arco di 16 anni dei Classici italiani.

Il tutto, a dispetto dell’eleganza e la raffinatezza delle edizioni, a prezzi popolarissimi. L’atto d’accusa però non si fermava qui. Nel precisare che la Giuria aveva deliberato senza visitare e confrontare adeguatamente il suo stand e che l’impiego di una macchina straniera era uno sprone «per l’arte e il lavoro con vasta produzione», don Bosco chiedeva di veder riconosciuti i suoi diritti. In caso contrario, – scriveva – «rinunzio a qualsiasi premio o attestato, ingiungendo che da cotesto Comitato si impartiscano gli ordini opportuni, affinché non venga fatto alcun cenno per le stampe, né del verdetto, né del premio e attestato medesimo».

Raccontano gli storici che il Comitato fece spallucce o quasi, limitandosi ad aggiungere alla medaglia d’argento, un semplice attestato di benemerenza per la cartiera. Si trattava chiaramente di una decisione “politica”, che suscitò sconcerto tanto nella stampa cattolica quanto nell’opinione pubblica.

In realtà una sconfitta solo apparente, destinata in breve a trasformarsi in vittoria morale. Con la sua partecipazione all’Esposizione di Torino infatti, don Bosco aveva da un lato ribadito il suo impegno a favore del «benessere morale e materiale della gioventù povera e abbandonata». Dall’altro era riuscito a dimostrare con i fatti che la Chiesa cattolica non era per niente contraria al progresso.

Una “lezione di vita”, un esempio di comunicazione efficace, un’espressione di coraggio, quanto mai attuale oggi, in un momento come il nostro, popolato, in campo educativo, da tanti, troppi, maestri di sventura e da pochi, pochissimi, profeti di speranza. E di verità.